Southbound – Autostrada Per L’Inferno – Roxanne Benjamin e altri (2015) | Recensione Film

Locandina di Southbound - Autostrada Per L'Inferno, da Wikipedia
La locandina, da Wikipedia

English version available here.

Titolo originale: Southbound

Anno: 2015

Produzione: Willowbrook Regent Films; Soapbox Films

Regia: Roxanne Benjamin; David Bruckner; Patrick Horvath; Radio Silence (alias Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillett e Chad Villella)

Sceneggiatura: Roxanne Benjamin; Matt Bettinelli-Olpin; David Bruckner; Susan Burke; Dallas Hallam; Patrick Horvath

Direzione della Fotografia: Tarin Anderson; Tyler Gillett; Alexandre Naufel; Andrew Shulkind

Montaggio: Matt Bettinelli-Olpin; David Bruckner; Jason Eisener; Tyler Gillett; Patrick Horvath

Effetti speciali e Trucco: Dylan Chase; Jason Collins; Chris Diaz; Dave Jacobson; Nick Lively; Justin Martinez; Chelsea Orduno; Josh Russell; Sierra Russell; Galaxy San Juan

Musiche: The Gifted

Durata: 82 minuti circa

Budget: N/A

Incassi: 23.665 dollari in USA, 11.610 dollari in Russia, per un totale di 35.275 dollari (fonte: Box Office Mojo)

Trailer

ATTENZIONE – CONTIENE SPOILER

Succede sempre, quando si fa un po’ di ricerca: si parte da un film, da un’impressione, da un autore (anzi, in questo caso un’autrice) e si dà un’occhiata in giro. Da lì, si naviga un po’ a vista e un po’ con le fonti, finché finalmente si approda a una destinazione di qualche tipo e si tira una linea, per poi ripartire.

Ecco, è attraverso questi meccanismi che sono arrivato a vedere Southbound – Autostrada Per L’Inferno, antologia horror del 2015 firmata, fra gli altri, da Roxanne Benjamin, a sua volta fra le future registe dell’antologia XX – Donne Da Morire.

Un’altra antologia, quindi. E precisamente di quattro episodi, collegati fra loro dalle grandi, larghe, sempre dritte autostrade statunitensi: sole, deserto, asfalto, qualche autogrill in cui gli abitanti delle cittadine vanno a scolarsi boccali di birra in silenzio.

Quattro (o volendo cinque) episodi collegati fra loro. Vediamoli in dettaglio nella loro trama.

The Way Out e The Way In (diretti dal trio Radio Silence) costituiscono insieme il primo e l’ultimo episodio di questo film. Essi sono in sostanza un unico episodio, discretamente sanguinario, incentrato su un gruppo di balordi immersi in un circolo vizioso di vendetta e perdizione. Oltre che un sempre opportuno ragionamento sull’errore di fondo insito nella vendetta1, si segnalano dei mostri al computer davvero ben fatti, sicuramente debitori di Tim Burton e di una certa iconografia gotico-dark-religiosa.

Siren (diretto da Roxanne Benjamin) vede un trio di amiche nel deserto. Il furgone Volkswagen su cui viaggiano ha un piccolo intoppo e le ragazze vengono in contatto con un’inquietante famigliola, che pare appena uscita da una satira sulla Bible Belt statunitense. Vecchi rimorsi, riti paganeggianti, qualche cazzuolata di Tobe Hooper.

The Accident (diretto da David Bruckner) è l’episodio che più vistosamente si collega agli altri, configurandosi come un vero e proprio seguito del precedente. Nella notte, un signore guida molto diligentemente con gli occhi fissi sul cellulare, ed è così che investe la povera Sadie, protagonista del precedente episodio. Tenendosi in contatto con il call center del 911, raggiungerà un ospedale e lì, guidato dalla voce di un chirurgo, proverà a salvare la vita della ragazza. Momenti forti, atmosfere da zombie movie, tanto sangue, l’Uomo al suo limite.

Viene poi Jailbreak, diretto da Patrick Horvath. Un individuo irrompe in un autogrill: è il vecchio Danny, venuto da lontano in cerca di sua sorella Jesse, tenuta prigioniera in città. Carpenteriano nella materialità del suo soprannaturale, è forse l’episodio più interessante: in pochi minuti, un Inferno western fra Carpenter e qualche spruzzata di Lynch2, una femme fatale fantastica, un vecchio illuso ma sardonico come un moderno Cable Hogue, una violenza ponderata e mai gratuita, dei buoni effetti. Veramente interessante.

Il cerchio infine si chiude, come detto sopra, con The Way In.

Allora, tecnicamente Southbound è un film sicuramente a posto: budget non pervenuto, ma a quanto pare usato bene. Certo, non ci sarà da gridare al capolavoro, ma ci sono delle eccellenze.

Gli effetti speciali e il trucco sono riuscitissimi: su tutti spiccano in particolare le “anime” in computer grafica in The Way Out e The Way In. Queste creature, una sorta di scheletri volanti, sicuramente legate (come detto sopra) a un certo cinema fantasy/horror e alla sensibilità gotico-religiosa per angeli vendicatori e simili, si sposano benissimo con l’ambientazione, che nei punti in cui esse agiscono può ricordare un po’ i primi momenti di Legion del 2010.

Ecco, l’ambientazione è un altro punto di forza. L’idea dell’autostrada e del deserto non l’ha certo inventata Southbound3, ma qui, grazie alla struttura a episodi, essa viene esplorata in varie sfaccettature: c’è la casa isolata nella campagna, il motel in cui si incrociano le storie, il bar sulla statale, il deserto stesso, il mondo paranormale visibile solo agli iniziati.

Per cui sull’ambientazione nulla da dire: non sempre originalissima, ma sempre all’altezza.

Altro punto forte sono alcuni personaggi. In ordine di apparizione, emerge la cara famigliola di Siren, ed emerge nella più tradizionale delle occasioni, ossia a tavola, luogo eminente di presentazione dei migliori personaggi, da Non Aprite Quella Porta alla Casa Dei Mille Corpi, passando magari anche per Il Professore Matto. E poi Danny, il barista Al, gli avventori del suo bar, la fatale Jesse di Jaibreak.

Personaggi dotati di humour, di un certo fascino, di un qualche spessore; personaggi, insomma, che hanno qualcosa da dire e che riescono a non ridursi a mere, prevedibili maschere.

Anche in tema di scrittura, quindi, siamo su un livello più che buono, considerato poi che gli episodi si raccordano benissimo l’uno all’altro4.

La fotografia non è mai fuori posto: si segnalano le luci rosse dell’Inferno di Jailbreak e la sala da pranzo di Siren, coi suoi colori poco accesi e le sue luci tiepide.

In tema di citazioni, viene omaggiato il culto Carnival Of Souls del 19625.

Insomma, Southbound è un buon film dell’orrore. Piacerà a chi ama l’horror della New Hollywood e a chi ama l’horror più moderno, a chi non cerca un eccessivo impegno ma vuole solo vedere un po’ di sangue, a chi lo pizzica in televisione in ottava serata e a chi volesse di gustarselo il venerdì sera con una pizza.

Consigliato.

Trailer

Sitografia

Box Office Mojo – https://www.boxofficemojo.com/movies/?page=main&id=southbound.htm (ult. visita 01/10/2018)

Box Office Mojo – https://www.boxofficemojo.com/movies/?page=intl&id=southbound.htm (ult. visita 01/10/2018)

Wikipedia in inglese – https://en.wikipedia.org/wiki/Carnival_of_Souls (ult. visita 05/11/2018)

Wikipedia in inglese – https://en.wikipedia.org/wiki/File:Southbound_poster.jpg (ult. visita 01/10/2018)

Wikipedia in inglese – https://en.wikipedia.org/wiki/Southbound_(2015_film) (ult. visita 04/10/2018)

  1. Che qui arriva quasi ad assumere i tratti della faida.
  2. Si vedano in particolare l’effetto con cui il muro si apre per far accedere Danny e il barista alla sala del tatuatore, nonché i clienti nella sala stessa, fermi nonostante il caos attorno a loro, non si capisce se vivi o morti, come in certi momenti di Velluto Blu.
  3. Due titoli per tutti: Non Aprite Quella Porta e Le Colline Hanno Gli Occhi.
  4. In particolare, su Wikipedia sono raccolti diversi elementi tesi a dimostrare che l’intero film avrebbe una struttura circolare, destinata a ripetersi o, se ne saranno capaci, ad essere modificata dai personaggi. Li traduciamo alla buona:

    1. “Il camion di The Way Out è visibile nel parcheggio “Freez’n Over” all’inizio di The Way In.
    2. La casa è la stessa sia in The Way Out che in The Way In e sono state usate molte delle stesse inquadrature, incluse le luci decorative all’esterno (quando Mitch entra in The Way Out e quando l’uomo mascherato entra in The Way In) e quando Jem cammina nello stesso corridoio dove Mitch viene intrappolato.
    3. In The Way Out, le creature perseguitano Mitch e Jack esattamente nello stesso modo in cui Mitch e Jack perseguitano la famiglia in The Way In, prima da lontano prima di avvicinarsi e, di nuovo, in entrambi i casi sono utilizzate inquadrature simili.
    4. Jack viene afferrato dalla creatura in bagno con una maglietta, ossia lo stesso oggetto usato per uccidere Cait.
    5. L’agitazione nel Roy’s Cafe è il suono prodotto quando il terreno si apre in The Way In, il che implica che a produrlo sono le creature, sotto il ristorante.
    6. Quando Jack viene ucciso dalla creatura, muore più o meno allo stesso modo in cui è morta Cait quando egli l’ha soffocata.
    7. I colpi che attirano Mitch nella stanza del motel in The Way Out sono gli stessi dei colpi da fuori casa in The Way In.
    8. La stanza del motel è la n. 6255 in The Way Out, lo stesso numero dell’indirizzo della casa in The Way In.
    9. La maschera che Mitch indossa in The Way In è visibile sul tavolo nell’ultima inquadratura di The Way Out, ed è ciò che stava guardando quando sente sua figlia ridacchiare per la prima volta.
    10. Le canzoni “Do not Let the Party End” e “Goodbye, Goodbye” sono usate in entrambe le parti, anche se sono riprodotte diverse parti dei brani.
    11. La voce fuori campo del dj (Larry Fessenden) è presente in entrambi i segmenti; tuttavia la versione finale ha un dialogo leggermente diverso, il che implica che il ciclo non è sempre lo stesso e che i personaggi hanno la possibilità di fare scelte migliori, con la possibilità che possano essere autorizzati a scappare nel caso in cui smettessero di fare sempre le stesse scelte sbagliate.”.

    Personalmente non so quanto questi elementi possano implicare una struttura circolare, né, eventualmente, quanto questa struttura sia stata fatta emergere a dovere nel film. In ogni caso, si può immaginare che siano semplicemente dei rimandi interni a due episodi che, in effetti, sono più che altro un unico episodio diviso in due, il primo dei quali contiene i rimorsi di uno dei protagonisti e dunque anche una serie di riferimenti al gesto da lui precedentemente compiuto.
    Neanche quello che dice il dj sembra poter sostenere l’idea che i protagonisti dell’intero film siano all’interno di un loop, fra l’altro passibile di essere modificato: visto con un po’ di distacco, in queste occasioni il dj radiofonico di Southbound non è altro che un narratore che, da fuori, si limita ad annunciarci cosa vedremo nel film, attraverso un espediente non certo nuovissimo ma adatto al tema dell’autostrada e del viaggio in auto.
    In questo senso, le differenze nelle parole del dj all’inizio e alla fine (che in realtà consistono solo in una continuazione del monologo) non sembrano essere altro che una conclusione del film con una nota di humour nero da parte del narratore.

  5. In streaming gratuito (lingua inglese) sull’irriducibile Wikipedia. Guardatelo, ma fate attenzione: può fare davvero paura!

Un pensiero su “Southbound – Autostrada Per L’Inferno – Roxanne Benjamin e altri (2015) | Recensione Film

  1. Pingback: Southbound - Roxanne Benjamin et al. (2015) | Movie Review - Ipogeo dell'Arte

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.