Tobe Hooper e gli “altri”: impegnati e popolari

Tobe Hooper a Parigi nel 2014 - Lionel Allorge (Own work) [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html), CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0) or FAL], via Wikimedia Commons
Tobe Hooper a Parigi nel 2014 – Lionel Allorge (Own work) [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html), CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0) or FAL], via Wikimedia Commons

Il 26 agosto scorso un altro Grande con la “G” maiuscola ha lasciato questa valle di lacrime. Prima di lui erano scomparsi, fra i tanti, Claudio Caligari, Wes Craven, Herschell Gordon Lewis, George Romero, in un biennio in cui si è potuta notare con sempre maggiore urgenza l’assenza di nuovi Maestri altrettanto iconici e creativi.

Questi registi, a cui purtroppo deve aggiungersi Tobe Hooper, sono stati infatti fondamentali per il Cinema ed anche per scienze ben diverse e solo in parte a questo collegate, dalla sociologia alla psicologia fino alle più quotidiane manifestazioni della vita civile.

Caligari è riuscito a mostrare, in tre film attualissimi e una serie di documentari, la fine di quella società occidentale che si è persa nell’eroina e poi nelle droghe sintetiche, nel vivere di espedienti, nella violenza più o meno organizzata, nel rifiuto di ogni arricchimento culturale.

Wes Craven ha inventato Freddy Krueger, un personaggio che dopo 33 anni gode ancora di ottima salute, e che è degno, per la sua innovatività e la sua versatilità, del Mostro di Frankenstein e di Dracula.

Herschell Gordon Lewis ha inventato lo splatter come lo conosciamo oggi, e tanto basta a renderlo immortale.

Romero è un altro inventore, ovviamente, e come gli altri registi di cui si parla in questo post le sue invenzioni non sono degli instant, non vivono nell’attimo: si sedimentano, vengono fatte proprie da chi le trova sulla sua strada, diventano uno specchio della società. Così è lo zombi di Romero, un essere dal profondo significato sociale, colmo di riferimenti al consumo, all’inutilità della guerra e dei confini, al dramma delle discriminazioni razziali e di genere.

E Hooper?

Tobe Hooper, dal canto suo, lascia dietro di sé un’eredità culturale molto importante. La concretizzazione più evidente di questa eredità è naturalmente Non aprite quella porta, ed è un’eredità che abbraccia il lato oscuro del nostro tempo e l’orrore più viscerale, che fa della diretta ed esplicita critica all’uomo medio e alle sue (cattive) abitudini il suo cuore pulsante.

Se in altri film il “cattivo” era un essere soprannaturale, un “diverso” rispetto allo spettatore, qualcosa o qualcuno comunque difficile da incontrare nella vita reale, nel Non aprite quella porta di Hooper questi ha una forma ben delineata e tutto sommato visibile, quotidiana: la famiglia disfunzionale. E questa famiglia può essere una famiglia di cannibali o più semplicemente una famiglia disgregata, e in questa famiglia ci può essere un macellaio impazzito per aver perso il lavoro o una sorella in lite perenne col fratello: la differenza, almeno a prima vista, non è così rilevante. “La sega è la famiglia! – The saw is family!” è la frase che tutti assoceranno alla saga.

Ma non basta. Questa prospettiva di un “cattivo” integralmente parte dell’ambiente circostante non può fermarsi alla famiglia o ad una cerchia ristretta di individui: Hooper vuole di più. E ci prova nel 1986, quando sono trascorsi dodici anni, un Vietnam e un Governo Reagan I.

Non aprite quella porta – Parte 2 avrebbe dovuto essere ambientato in una cittadina la cui intera popolazione si rendeva protagonista dei massacri: un paese (o un Paese?) popolato interamente da cannibali. Una critica ancora più dura alla società, al conservatorismo, alla chiusura.

Non se ne fece niente, ma poco male: Non aprite quella porta – Parte 2 è comunque bellissimo; e uno dei Maestri elencati poco fa, Herschell Gordon Lewis, aveva del resto già detto la sua su un paesino pieno di sudisti nostalgici e assassini. Quel film si chiama Two Thousand Maniacs, ed è ovviamente un film che va visto.

Dal 1974, in ogni caso, qualunque film in cui degli “stranieri” arrivano in un posto inquietante, e in cui il posto non è inquietante per il suo paesaggio ma per i suoi abitanti, è almeno un po’ Non aprite quella porta (o Un tranquillo weekend di paura, uscito del resto due anni prima ma dall’approccio molto diverso): lo è La santa, lo è Wrong Turn, lo è American Gothic, lo è ovviamente La casa dei mille corpi.

Quello che emerge guardando il Cinema di Hooper, e questo è il dato importante, è che il problema non si trova all’esterno del consesso sociale, ma al suo interno: la famiglia Sawyer infatti viene criticata solo in quanto una famiglia di villain, uno più folle dell’altro; a loro volta, sono i protagonisti ad essere in realtà criticabili e criticati per quanto sono chiusi gli uni con gli altri o accecati da una vendetta che, in fin dei conti, li rende ridicoli e folli almeno quanto i Sawyer.

E una simile critica del mondo intorno a noi, interno a noi, si può trovare in tutta la filmografia di Tobe Hooper, in cui vediamo altre disfunzioni sociali, dalla speculazione edilizia alla gestione “allegra” di condomini storici, o di nuovo all’isolamento, il tutto sempre per segnalare un problema che alligna all’interno della vita quotidiana, o addirittura nelle sue stesse fondamenta.

In definitiva Tobe Hooper ha saputo dire qualcosa di importante non solo per il Cinema: il problema, qualunque esso sia, è dentro, non fuori.

A questo punto è anche giusto salutarlo, questo grande regista. E come saluto è sicuramente poco, ma mi limiterò a postare qui sotto il trailer di uno dei suoi film più belli, Non aprite quella porta – Parte 2, un film che non tutti hanno visto. E’ un film ironico, ricco di effetti, dalle scenografie fantastiche e con grandi attori in ottima forma.

Spero che qualcuno se ne faccia conquistare e, se non l’ha già visto, gli dia almeno un’occhiata: non se ne pentirà.

Non aprite quella porta – Parte 2 (1986) (eng)

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