Il caso Via Col Vento visto da uno spettatore. Come vedere il Cinema?

Ingresso di Memphis, città in cui per interi decenni si è proiettato Via Col Vento. Image by Thomas R Machnitzki (Own work) [CC BY 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/3.0)], via Wikimedia Commons
Image by Thomas R Machnitzki (Own work) [CC BY 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/3.0)], via Wikimedia Commons

Premessa. Il 7 settembre scorso ho inviato una mail al cinema Orpheum in un inglese stentato chiedendo spiegazioni sul suo approccio ai film “vecchi”, invitando il suo staff a rispondermi entro giorno 9 settembre e impegnandomi, nel caso di una loro risposta tardiva, a pubblicarla con le correzioni e precisazioni del caso. Ad oggi 15 settembre 2017, sulla Pagina Facebook del cinema Orpheum non sembrano esserci novità sul caso Via Col Vento, né ho ricevuto risposta alla mia mail. Darò quindi per scontato che le proiezioni avvengano senza alcun ulteriore strumento informativo per lo spettatore escluse le locandine ed eventuali volantini, così come avviene per ogni film blockbuster di nuova uscita.

* *** *

E’ del 29 agosto scorso la notizia per cui il cinema Orpheum di Memphis, nel Tennessee, avrebbe deciso di non proiettare Via col vento a seguito di proteste che ne contestavano l’intrinseco razzismo.

Ora, per chi non lo conoscesse, Via col vento è un film statunitense del 1939 ambientato negli Stati Uniti degli anni immediatamente precedenti e successivi alla Guerra di Secessione, e precisamente in uno Stato sudista e schiavista. Protagonista è Rossella, una donna emancipata e forte che riuscirà, da sola, a rimettere in piedi la propria piantagione dopo la guerra. Non mancano grandi drammi sentimentali e familiari.

Si è detto in quel di Memphis che Via col vento è un film razzista, e a seguito di queste proteste il cinema Orpheum ha deciso di non proiettarlo.

Questo post non vuole entrare nel merito del razzismo presente in Via col vento, che per chi scrive c’è, come del resto c’è in buona parte dei film di quegli anni e non solo. E chi scrive aggiunge fin d’ora che ci sarebbe sa stupirsi se non ci fosse.

Questo post non vuole nemmeno entrare nel merito della decisione del cinema Orpheum: questa decisione drastica, infatti, appare a chi scrive a metà fra l’obbligato e l’azzardato, fra il pericoloso precedente e la naturale evoluzione dei fatti.

Secondo il mio modestissimo parere di spettatore a cui spocchiosamente piacerebbe chiamarsi “informato”, invece, il punto è un altro: cos’è il Cinema? E come fruire e far fruire il Cinema oggi, specie quando è un Cinema che indubbiamente appartiene ad un’epoca ormai passata e profondamente diversa dalla nostra?

Ecco, per ora l’Italia non ha ancora avuto il bisogno di confrontarsi con un caso Via col vento, ma prima o poi potrebbe accadere.

Vorrei quindi proporre una riflessione e, se possibile, qualche spunto propositivo.

Partiamo dal fatto che, se negli Stati Uniti ci sono stati problemi con Via col vento, qui in Italia abbiamo film come Vecchia guardia, per esempio, senza contare i cinegiornali dei vari belligeranti e neutrali di ogni guerra, che nel corso del Novecento hanno provato in tutti i modi a portare l’elettorato e le baionette a questo o quel mulino. Tanti di questi film non sono meno reazionari di Via col vento, anzi.

Reazionari, si è detto, e a volte è il minimo che se ne possa dire. E per questo non proiettabili, non visibili, sigillati?

Non è detto. Prima di tutto molti di questi film sono tranquillamente visibili o reperibili in Rete, più o meno legalmente, su siti di sharing o collegati a formazioni culturali e politiche.

Per le proiezioni pubbliche, poi, che è quello che più interessa, dipende evidentemente da fattori come le condizioni in cui si verifica la proiezione, e soprattutto dalla preparazione della proiezione stessa e del pubblico che si suppone debba assistervi. Dipende insomma dall’approccio che si vuole avere con il film.

Oggi però c’è un approccio che pare essere seguito un po’ ovunque: è l’approccio per cui si entra nel cinema, si compra un biglietto, ci si siede, si guarda e si torna a casa. Se si discute, lo si fa per passare il tempo all’uscita con l’ex vicino di poltrona o con la comitiva con cui si è andati al cinema, senza alcuna guida all’opera cinematografica.

Questo approccio a volte può anche andare bene, ma ha un difetto: assume il film come un bene di consumo qualsiasi, come una macchina, un caffè, una penna, un pacco di pasta.

Si dirà che ci può essere Arte anche in un caffè, ed è vero. Ma è vero anche che le opere d’arte sono ben diverse dal caffè.

E se il film è un bene di consumo qualsiasi, come questo approccio dice, cos’è un film “vecchio”?

E’ come una macchina vecchia, di quelle con il motore Euro 1?!

Se la logica è quella del bene di consumo, sì, lo è, e c’è poco da fare.

E infatti, come la macchina vecchia non può circolare perché inquina l’ambiente, così il film vecchio non viene proiettato perché inquina le menti. Poco importa, in questa prospettiva, dare una definizione di “film vecchio”.

Attenzione su una cosa: il discorso non è sbagliato nel suo svolgersi. In quest’ottica hanno piena ragione i contestatori a dire che Via col vento non deve essere proiettato in pubblico.

In realtà però hanno sbagliato tutti: i contestatori, il cinema Orpheum, le politiche culturali occidentali, gli spettatori. E a mio parere hanno sbagliato nella premessa di tutto il discorso, ossia nell’approccio al film come bene di consumo.

Ora, si può anche proseguire su questa strada: sicuramente per tanti film si farà, e alla lunga nessuno avrà di che lamentarsi.

C’è solo un piccolo problema. Proseguendo su questa strada infatti rischiamo di perderci alcune cose: tanti grandi film che, come Nascita di una nazione, sono intrisi di razzismo ma fondamentali per la Storia del Cinema o della Politica americana; degli spaccati d’epoca come i Telefoni Bianchi, anche loro un po’ permeati da certe pulsioni fasciste (la velocità dell’automobile, le vacanze come un miraggio alla portata di tutti, i grandi magazzini scintillanti), per fortuna spesso ben contenute da registi capaci e almeno in parte indipendenti; alcuni fotogrammi di film ispirati a valori di libertà come Spartacus di Kubrick e della maggioranza dei film girati in Occidente fino almeno agli anni Duemila, essendo ognuno di questi, a suo modo, un po’ razzista, un po’ omofobo, un po’ maccartista.

Ora, che questi film abbiano in sé tali caratteristiche è un fatto ormai studiato (si vedano ad esempio Lo schermo velato e Classified X), e se ad esempio per un WASP americano eterosessuale questo può essere vero da qualche anno, ci sono intere categorie sociali per cui questo razzismo è sempre esistito, e non si può non tenerne conto.

Altrettanto vero però è che i film sono comunque opere d’arte, perfino i più retrivi fra di essi (dal Trionfo della volontà in poi).

E allora?

Allora bisogna incominciare a capire, noi spettatori prima di tutto, cos’è il Cinema.

Lo chiamano la Settima Arte. Bene. Tutte le altre Arti però sono trattate molto meglio del Cinema, e proprio dagli operatori dei loro rispettivi settori. Facciamo qualche esempio per capire.

Ogni libro o fumetto che si rispetti possiede oggi al suo interno diversi strumenti per comprenderne il significato: copertina, prefazione, introduzione, note a pie’ di pagina, appendice, postfazione, seconda, terza e quarta di copertina.

Ogni opera d’arte visiva ha una targa che ci dice cos’è; nei musei ci sono guide cartacee, audio e in persona, per singoli e comitive, con addirittura inviti al silenzio per non disturbare la fruizione; ogni libro o catalogo d’arte che sia tale contiene note storiche, note sugli autori e sulla selezione presentata, interpretazioni delle opere da parte di studiosi e professionisti.

Idem per la Musica: libretti per l’opera; testi delle canzoni; recensioni dalle riviste specializzate in estratto.

Dicevamo prima del caffè. Prendiamo un pacco di caffè da 250g e diamogli un’occhiata: abbiamo informazioni sull’azienda, contatti, indicazioni sul peso netto, slogan, immagini, addirittura a volte ricette e nuovi metodi di fruizione. Beh, anche un pacco di caffè del supermercato, insomma, ha una sua serie di informazioni di corredo!

E il Cinema?

Per il Cinema niente: la vulgata è che tanto se è entertainment è roba fatta per il “parco buoi” e se è “d’autore” allora gli spettatori già sanno di cosa si parla. Due righe sul retro del DVD se ce lo compriamo, sennò la tagline sotto il titolo nella locandina, quando c’è, o un abbozzo di trama quando si preme un tasto del telecomando della televisione.

Ecco, questo è il modo in cui sono trattati gli spettatori, compresi quelli di Memphis.

Disinformati, trattati come animali da allevamento, indotti a comprare edizioni DVD che non contengono nemmeno il trailer, ridotti a seguire sui nostri amati social network l’evoluzione a singhiozzo di un’Arte miliardaria che ci viene spacciata per popolare e democratica.

Ecco come siamo trattati. Ecco come è trattato il Cinema. Ecco come è umiliato il Cinema.

Date queste belle premesse, cosa avrà mai pensato il cittadino di Memphis, sia egli afroamericano o comunque attento ai temi del sociale, ma egualmente disinformato?

Avrà pensato quello che gli hanno lasciato intendere: che Via col vento è un film del ’39, che è ambientato dalla parte sbagliata della Guerra Civile, che i protagonisti sono dei bianchi schiavisti e quando va bene paternalisti.

Che fra l’altro sarebbero anche cose vere.

Però avrebbero dovuto anche dirgli, a questo spettatore, che esistevano una classe e un pensiero dominante nel 1939, che c’è stata una (minima) evoluzione grazie a delle lotte sociali che egli conosce o deve conoscere, che comunque è un film tratto da un romanzo e che quindi parte del problema sarebbe a monte, che un’opera d’arte non si può censurare e che invece, proprio per testarne l’eventuale attualità e la sua stessa appartenenza alla categoria dell’Arte, se ne deve dibattere.

Cosa avrebbe dovuto fare quindi il cinema Orpheum? Cosa dovrebbe fare ogni cinema del mondo?

Pronunciare qui la parolaccia “cineforum” non è tanto diverso da dire cosa dovrebbero fare i cinema, almeno di fronte a film “vecchi” o portatori di messaggi lontani dalle concezioni contemporanee.

Si è detto infatti che ogni forma d’Arte viene oggi fatta fruire con gli strumenti adatti a conoscerne il significato, riducendo i rischi di incomprensione.

Beh, questo, a detta di chi scrive, andrebbe fatto anche con i film.

Più precisamente, non sarebbe sbagliato far precedere la proiezione da una presentazione ad opera di un critico (giovane e a km 0, e meglio ancora se sottopagato o addirittura “pagato in visibilità”!), nonché farla seguire dalla famigerata frase “S’apre il dibattito!“, invitando lo spettatore, e specialmente lo spettatore contrario alla proiezione, a dibattere, a spiegarsi, a far conoscere le proprie ragioni. Visto poi che non siamo nel Medioevo, anche una presentazione video o una videoconferenza potrebbero bastare.

E alla fine della fiera, comunque andasse, sarebbe successo qualcosa: si sarebbe presentato un film, lo si sarebbe visionato, se ne sarebbe discusso. All’uscita ci sarebbe chi è convinto che Via col vento è un film razzista e chi invece dice di no, ma almeno queste persone avrebbero avuto la possibilità di esprimersi e e di sentire l’altra campana.

E un domani, qualunque sia la loro opinione, questi spettatori saranno più informati di prima. Potranno dire di averlo visto, “quel filmaccio”, e spiegare con un minimo di cognizione quali ne sono i pregi e i difetti, quali i profili di attualità e quali quelli antiquati, il progressismo di una donna come Rossella e il carattere reazionario del sistema in cui comunque si muoveva.

Lo farebbero da spettatori e soprattutto da cittadini informati.

E dobbiamo farlo anche noi. Altrimenti, se una simile atmosfera dovesse raggiungerci, avremmo da un lato dei censori irragionevoli e dall’altro, a difesa del nostro “Cinema razzista”, i nostalgici di quel razzismo e nulla più.

Coloro che volessero provare a ragionare si troverebbero allora, è forse questa l’espressione più calzante, fra la padella e la brace.

Se invece ci documentiamo, se dialoghiamo con chi ritiene di essere stato offeso da un intero sistema sociale e spesso di esserlo ancora per la sua pelle, il suo orientamento sessuale e almeno per gli altri fattori di discriminazione già conosciuti dalla Costituzione e dal nostro ordinamento (che comunque presenta un “elenco aperto”, sempre pronto ad accogliere nuove esigenze, purché non contrastanti con i principi costituzionali), e soprattutto se ci impegniamo perché il resto del pubblico si documenti e dialoghi, forse possiamo imparare qualcosa e vaccinarci una (un’altra?) volta per tutte contro i roghi di libri, pellicole e dipinti, contro parolacce come “arte degenerata”, contro la censura e l’autocensura immotivate.

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