Il Gabinetto Del Dottor Caligari – Robert Wiene (1920) | Recensione Film

Locandina di Caligari - Atelier Ledl Bernhard [PD], via Wikimedia Commons
Locandina – Atelier Ledl Bernhard [PD], via Wikimedia Commons

English version available here.

Titolo originale: Das cabinet des Doktor Caligari

Anno: 1920

Produzione: Decla-Bioscop AG

Regia: Robert Wiene

Sceneggiatura: Hans Janowitz; Carl Mayer

Direzione della Fotografia: Willy Hameister

Musiche: Giuseppe Becce

Durata: 77 minuti circa (restauro 2014 ad opera de L’Immagine Ritrovata – Cineteca di Bologna)

Budget: 18.000 $ stimati (fonte: IMDB)

Incasso: N/A

Prima di tutto eccovi il trailer:

Ed ecco la recensione!

ATTENZIONE – CONTIENE SPOILER

E’ il 26 febbraio 1920 quando a Berlino si tiene la prima de Il gabinetto del Dottor Caligari, e sarà una serata cruciale per il Cinema tedesco e non solo.

Si tratta infatti un film molto particolare: è il primo film espressionista.

All’inizio del Novecento la Fotografia è ormai messa al servizio dell’intero sistema sociale: ritrae i regnanti, i soldati al fronte, le famiglie nella loro intimità con quello che sembra uno stupefacente realismo.

Ma mentre la Fotografia (come anche l’Impressionismo pittorico) impressionava la realtà per come questa appariva, l’Espressionismo intendeva mostrarne il lato nascosto e più segreto.

Per realizzare questo scopo, l’Espressionismo aveva un solo strumento: modificare la realtà apparente e mostrare quelli che erano i veri volti della società e degli individui, i loro pensieri, le loro ambizioni, i loro stati d’animo.

Ora, nel 1920 l’Espressionismo è una corrente pittorica affermata, e ha già trovato il tempo di influenzare il Cinema. Già prima de Il Gabinetto del Dottor Caligari infatti si trovano nei film tracce di espressionismo, ad esempio ne Lo studente di Praga (1913)1 e, forse, ne Il Golem (1915), oggi parzialmente perduto.

Tuttavia si trattava appunto solo di tracce.

Nel 1920 invece le cose cambiano e di molto.

Siamo alla fine della Prima Guerra Mondiale: la Germania ne è uscita sconvolta. La crisi economica, i morti, gli invalidi fisici e mentali sono il prezzo delle velleità di dominio di quella che era stata la più grande potenza industriale d’Europa. Le condizioni di pace sono un capestro, scoppiano rivolte comuniste represse nel sangue, la Repubblica è appena sorta dalle ceneri di un Impero caduto nella vergogna della fuga del Kaiser in Olanda.

In questo contesto, il Cinema è stranamente un’industria abbastanza florida. Per anni infatti, a causa degli embarghi, la Germania ha prodotto autonomamente i suoi film. E questo isolamento, anziché danneggiare l’industria e l’arte cinematografiche tedesche, le ha rese un esempio di efficienza e creatività.

E quando alla fine del 1919 inizia la produzione de Il gabinetto del Dottor Caligari, le circostanze sono mature per un grande film.

La trama è tutto sommato semplice, seppure costruita con una struttura concentrica e ricchissima di riferimenti politici e sociali.

Nella cittadina di Holstenwall si tiene una fiera. A questa fiera partecipa anche un imbonitore, il Dottor Caligari, che invita i passanti a vedere il sonnambulo Cesare, che, afferma, “dorme da 23 anni” e sarebbe capace di prevedere il futuro. Due abitanti del posto e la fidanzata di uno di loro saranno coinvolti in una serie di omicidi.

Tutto questo è in realtà il frutto del racconto che il protagonista Francis fa ad un vicino di panchina in quello che sembra essere un parco pubblico: gli sguardi sono vacui o fissi, la recitazione è apatica, il viraggio è in un azzurro/verde/seppia freddo e distaccato, etereo. Lil Dagover, che interpreta Jane, la fidanzata di Francis, vi si aggira come un fantasma.

Nel racconto fatto dal giovane, invece, tutto è distorto e, sembrerebbe, pieno di una macabra vita: la recitazione è caricata al massimogli interni sono deformati come in un incubo e così le ombre e le luci; le situazioni sono simili più a un sogno delirante che ad altro.

Ed è questo il cuore del film. Il gabinetto del Dottor Caligari rappresenta infatti un incubo a occhi aperti, un’occhiata fugace in un’altra dimensione, o forse nel futuro della Germania, o anche nella stessa realtà dei fatti coeva al film, e non a caso ci sono leggende e coincidenze che circondano il film di un alone di mistero.

Una coincidenza è per esempio questa. Il Dottor Caligari è un manovratore, che agisce su Cesare come su una marionetta, ed è pervaso da pulsioni tendenti al dominio, al possesso e all’omicidio; è un buon mentitore, riesce a eludere le indagini della polizia, ed è addirittura direttore di un manicomio. Un piccolo dittatore insomma, teatrante e tirannico. Werner Krauss, che nel film interpreta il Dottor Caligari, si ritroverà Attore di Stato sotto il nazismo e, per la sua collaborazione con il regime, venne dopo la guerra condannato ad un’ammenda.

Una leggenda è invece quella per cui il racconto che fa da cornice agli eventi di Holstenwall sarebbe un’aggiunta voluta dalla produzione. Dopo la caduta del nazismo si scrisse infatti2, riprendendo racconti precedenti, che sarebbe esistita una prima versione della sceneggiatura, successivamente modificata per volontà della Decla, che si sarebbe svolta tutta all’interno della cittadina, concludendosi con il ricovero di Caligari.

In questa versione “fantasma” mancavano insomma il prologo e la parte finale del film, con la conseguenza che la realtà filmica era molto più vicina a quella esterna al film: Il gabinetto del Dottor Caligari veniva così ad essere un’allegoria del nazismo latente all’epoca in Germania (latente ma non troppo: gruppi di estrema destra come i Corpi Franchi erano già presenti in Germania dalla fine della guerra; l’omicidio Rathenau è stato commesso del resto nel 1922, ben prima dell’ascesa al potere di Hitler, e proprio da soggetti in vario modo legati a questa organizzazione).

Il personaggio di Caligari, in quest’ottica, diventava quindi il simbolo di un Governo che traviava il suo popolo, e Cesare quel popolo stordito, addormentato, anestetizzato.

Oggi questo racconto sembra essere più che altro una leggenda artefatta, forse a scopo di lucro, forse per rafforzare le esigenze di protezione dei due scrittori da parte degli Stati Uniti, forse per screditare il nazismo sul piano culturale in un periodo di forte propaganda in ogni settore, Cinema compreso e in prima fila. Una risposta precisa non c’è. Va anche detto, a onor del vero, che il montaggio in effetti poteva trarre in inganno, e che una lettura politica del film rimane comunque possibile.

Non che Hitler amasse l’Espressionismo, dal canto suo: è noto che il nazismo considerava l’Espressionismo (e in generale l’Arte moderna) “arte degenerata“.

Tecnicamente Il gabinetto del Dottor Caligari è un film praticamente perfetto.

Gli attori sono fenomenali (Conrad Veidt è qui alla sua consacrazione, Krauss è nel ruolo della vita). Le inquadrature sono la registrazione di un incubo su pellicola. La scenografia non è di questo mondo: abbiamo sedie dagli schienali altissimi, scatole in cui dormono dei “fenomeni da baraccone”, tetti e strade ricostruiti in studio.

Si potrebbe pensare che forse gli scenografi abbiano fatto le cose un po’ a caso, al solo scopo di scioccare lo spettatore. Un particolare ci dice chiaramente che non è così.

Quando Caligari arriva in città, deve (molto realisticamente) chiedere al Comune il permesso di occupare il suolo pubblico ed esercitare la sua attività nella fiera del paese. Si reca allora presso il competente ufficio, dove un funzionario lo tratta come una nullità.

E per meglio rappresentare il distacco fra l’utente del servizio pubblico e l’impiegato, nonché la superbia di quest’ultimo, si è deciso di farlo sedere su uno scranno altissimo, demenziale sì, ma che fornisce una chiara, immediata percezione dei rapporti di forza fra Caligari e un semplice funzionario.

Anche un tiranno come Caligari, insomma, si trova comicamente a dover chinare la testa di fronte alla pur sempre efficientissima burocrazia tedesca. Poi lo farà ammazzare da Cesare, l’impiegato, ma per adesso ha perso una battaglia.

Si capisce, insomma, che sia in sceneggiatura che in scenografia le cose sono state fatte con una finalità e dei canoni precisi: il caso non c’entra affatto.

Anche la fotografia è in tutto e per tutto funzionale al film, tralasciando ogni aderenza alla realtà. Per aumentare l’effetto di straniamento (o meglio ancora di unheimlich, l’inquietante, il pauroso, il “non confortevole” che pervade i film espressionisti) le ombre sono state disegnate sugli interni e le pareti del set, e ciò ha permesso di creare ombre oblique, allungate sui muri come alberi di notte in una foresta, minacciose: ombre espressive, o meglio ancora proprio espressioniste.

Sempre alla presenza di una precisa funzionalità di tutti gli elementi del film conduce il confronto fra la scenografia definitiva e i bozzetti preparatori3.

Il gabinetto del Dottor Caligari è un capolavoro assoluto, reso classico dal tempo e dal sapore antico della sua visione. Quando si parla di ipnosi, tirannide, smanie di possesso, contesti sociali al limite, non si può non pensare alle disavventure della cittadina di Holstenwall e ai personaggi singolari che l’hanno abitata.

Consigliatissimo a tutti, che lo abbiano già visto oppure no.

Trailer

Bibliografia

Tone, Pier Giorgio. Espressionismo tedesco. La breve grande stagione del cinema degli anni Venti analizzata nei suoi procedimenti tecnico-formali. Dino Audino Editore, Roma, 2009.

Sitografia

IMDB – http://www.imdb.com/title/tt0010323/ (ult. visita 06/08/2017)

Sognaparole Magazine – http://sognaparole.blogspot.it/2016/07/il-gabinetto-del-dottor-caligari.html (ult. visita 05/08/2017)

Wikimedia Commons – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Das_Cabinet_des_Dr._Caligari.JPG (ult. visita 07/08/2017)

Wikipedia in inglese – https://en.wikipedia.org/wiki/The_Cabinet_of_Dr._Caligari (ult. visita 05/08/2017)

Wikipedia in italiano – https://it.wikipedia.org/wiki/Il_gabinetto_del_dottor_Caligari (ult. visita 07/08/2017)

  1. Tone, Pier Giorgio. Espressionismo tedesco. La breve grande stagione del cinema degli anni Venti analizzata nei suoi procedimenti tecnico-formali. Dino Audino Editore, Roma, 2009, pag. 12.
  2. In particolare in Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco – Siegfrid Kracauer, 1947. Sul punto Tone, op. cit., pag. 31.
  3. Ibidem, pagg. 59-60.

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